Nello scorso mese di aprile si è aperto a Torino, in Corso Vittorio Emanuele II, n. 65, l’InfoPoint di Emergency, luogo in cui conoscere le attività dell’associazione, conoscerne le campagne, ricevere informazioni e anche acquistare oggetti e gadget per poter contribuire in modo concreto.
In occasione dell’inaugurazione dell’InfoPoint Emergency ha dato vita ad una serie di incontri dal titolo Parole di Pace in cui autori, artisti, musicisti e personalità del mondo della cultura hanno testimoniato e discusso su temi cari all’associazione ed ai suoi valori, gli stessi contenuti nel Manifesto di Emergency.
Alla rassegna hanno preso parte, tra gli altri, Euro Carello, responsabile del settore scuola del Gruppo Emergency di Torino, che ha presentato la sua raccolta di racconti “Il seme del nemico”. Andrea Gerbaudo, del gruppo indie di Savigliano Les SansPapier, che ha presentato l'album "Aperitivi all'anice", e Raffaella Romagnolo, autrice di La masnà (edizioni Piemme, 2012), storie di donne dagli anni Trenta ad oggi nel Monferrato, di cui è originaria.
A questo proposito e intorno al mondo di Emergency abbiamo incontrato Paola Feo, che del gruppo Emergency di Torino fa parte, e le abbiamo posto alcune domande:
D.: Come e quanto l’InfoPoint può contribuire a far crescere conoscenza e consapevolezza di quanto nel nostro mondo c’è tuttora di guerra e violenza, scenari che molto spesso rimanendo lontano dai nostri occhi non ci colpiscono né ci scuotono.
R.: Il “come” è semplice: raccontando e distribuendo tanto materiale informativo. All’Infopoint sono sempre presenti almeno due volontari dell’associazione per riportare, a chiunque voglia farne conoscenza, le testimonianze dalle nostre missioni. Abbiamo anche diversi filmati e uno spazio dove chi lo desidera può prenderne visione. Con l’arrivo del prossimo autunno partirà anche un ciclo di incontri specifico dal titolo ancora un po’ approssimativo Emergency si racconta: inviteremo all’infopoint lo staff medico e ospedaliero di ritorno dalle missioni, proietteremo i film relativi ai progetti, parleremo della cura e dell’attenzione che cerchiamo di portare in ogni ambito della nostra operatività, dalla costruzione degli ospedali alla scelta dei gadget. Proprio tra i gadget, ad esempio, sono disponibili diversi libri: edizioni curate dall’associazione, diari di viaggio come Pappagalli Verdi e Buskashì scritti da Gino Strada, fondatore di Emergency, ma anche libri per bambini e spunti e punti di vista differenti per guardare la guerra con altri occhi, più consapevoli.
Il “quanto” è un po’ più difficile da stabilire. L’interesse delle persone su ciò accade fuori dalla porta di casa (e non solo in senso metaforico) in questo momento è molto basso. Non di certo per cattiveria, ma perché sempre più spesso il problema è in casa: la crisi sta portando la gente a dover rinunciare a molto, un lavoro e a volte anche un tetto, ed è inevitabile che tutto il resto passi in secondo piano. Anche in questo caso però cerchiamo di parlare e di far capire che il problema economico dipende anche da cosa avviene “lontano”: sul sito del nostro mensile E abbiamo iniziato già da tempo una campagna di sensibilizzazione contro le spese militari per un uso migliore di queste risorse.
D.: Come si può fare per aderire alle vostre campagne o per entrare a far parte di Emergency con le proprie competenze, sia in campo medico che civile?
R.: Purtroppo non disponiamo di grandi mezzi di comunicazione, né di soldi per promuoverci, quindi il modo più diretto rimane il sito: su emergency.it c’è un aggiornamento costante delle campagne e delle figure professionali che cerchiamo, così come è possibile trovare i riferimenti per i volontari di tutta Italia. La stessa “vetrina” la offre l’Infopoint: promuoviamo tutte le campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi, così come forniamo informazioni al personale ospedaliero o di staff interessato a partire in missione. La selezione vera e propria avviene comunque sempre a Milano, dove vengono scelti i cv e predisposti i colloqui. Sempre presso l’Infopoint, ma questo riguarda solo i volontari di Torino e dintorni, vengono organizzati incontri di accoglienza e formazione per chi desidera entrare a far parte di un gruppo territoriale come il nostro.
D.: In che modo la presenza di una sede nel cuore di Torino può, attraverso iniziative quali Parole di Pace, coinvolgere quanti già sono consapevoli dell’importanza di Emergency e quante altre persone meno attente possono esserne coinvolte?
R.: Quando abbiamo accettato, come volontari, di impegnarci in una impresa difficile e impegnativa quale tenere aperto un Infopoint, la prima cosa che ci siamo detti è stata: deve essere un posto vivo. Per questo ci siamo subito attivati per portare al suo interno personaggi esterni magari anche ad Emergency: gli incontri vogliono essere un confronto, una chiacchierata, un dirsi le cose per come le si sono vissute. Tra gli ospiti ad esempio abbiamo avuto anche Patrizia Varetto e Sami Hallac che ci hanno portato una bellissima testimonianza della vita in Palestina (con anche un finale gastronomico a sorpresa: un aperitivo a base di prodotti e ricette palestinesi). In questo modo cerchiamo di farci conoscere da un pubblico che non è composto solo dai nostri sostenitori, ma da chiunque abbia un minimo di interesse in ciò che gli accade intorno, condividendo. Mi rendo conto che è una parola un po’ abusata, soprattutto da quando imperversa sui social network, ma la nostra idea di condivisione è decisamente più “fisica”: è uno scambio di saperi, di umori e perché no, anche di sapori.
D.: Rispetto ad altre città italiane (ma anche rispetto alle sedi estere) in cui siete presenti Torino si dimostra sensibile o meno alle vostre attività e in che modo la crisi di questi tempi influisce sull’inaridirsi delle coscienze?
R.: Sinceramente non sono in grado di fare un paragone con altre città italiane, né straniere, servirebbe confrontare troppi parametri. Quel che posso dire però è che Torino è una città dove la solidarietà è presente sotto diverse forme, da quelle più istituzionalizzate a quelle spontanee e di quartiere. La crisi certo ha influenzato pesantemente su tutte le nostre scelte: le donazioni sono diminuite e gli importi si sono dimezzati, mentre il mantenimento degli ospedali e dei progetti richiede un flusso costante di energie, personale e medicinali che non possono diminuire. O meglio: diminuirli vuol dire non curare più le persone, non operarle fino a non poter più salvare vite umane. Non sono decisioni facili da prendere, anzi, son decisioni che non si vuole arrivare a prendere: per questo abbiamo lanciato a gennaio la campagna SOS Emergency. Aiutaci a non smettere. A questo ovviamente abbiamo affiancato un intensa attività di raccolta fondi anche fuori dall’Italia, in Europa e nel resto del mondo. Come dicevo prima, non pensiamo ci sia un inaridimento delle coscienze, quanto piuttosto una incomprensibile inerzia popolare su come vengono mal gestite le nostre finanze. E non solo quello.
D.: Molte delle vostre campagne di sensibilizzazione hanno portato a concreti risultati (come quella sul bando delle mine antiuomo) perciò crediamo nella forza del coinvolgimento di quante più persone possibile. A proposito di questo quanto la vostra presenza nelle scuole può far sì che le generazioni future possano crescere e diventare adulte con maggior senso di giustizia e umanità?
R.: Un seme gettato in un prato ha buone possibilità di crescere solo se il terreno è fertile. Altrimenti necessita di tante cure, acqua e fertilizzanti. E’ un po’ quello che cerchiamo di fare noi con le scuole: i nostri interventi iniziano cercando di stabilire un rapporto con gli insegnanti ancor prima che con gli allievi, e costruendo insieme a loro qualcosa che non sia solo un incontro sporadico, ma che assomigli ad un percorso. Poi, certo, chi lo sa: non esiste solo la scuola ma anche la famiglia, gli amici, l’informazione più o meno veritiera. Su un “terreno” così ampio non possiamo di sicuro intervenire e quindi, inshallah, come direbbero i nostri amici musulmani.
Tiziana Franchi