La narrazione della società italiana attuale non è più la nostra narrazione, quella dei numerosi talenti ‘bruciati’ e dissipati dall’immobilismo autoreferenziale del sistema sociale e politico, dalla sua classe dirigente – di destra e di sinistra. È giunto il momento di cominciare a scrivere delle pagine nuove della storia di questo Paese; è l’ora del cambiamento non soltanto a livello politico ed economico, ma soprattutto sociale, culturale, a partire dai micro-settori della vita quotidiana e occorre, per questo, un grande sforzo.
Molti di noi sono consapevoli di essere ancora ‘vivi’, anche se ci hanno voluto far credere ‘morti’ nella passività del qualunquismo generalizzato, della cultura dell’apparire, del piacere e del piacersi/auto-compiacersi, del farsi riconoscere, dello sviluppo illimitato e dell’ingenuo fanatismo consumistico, sorretto – ancora una volta – da una costante e pericolosa falsificazione mediatica per impadronirsi dell’immaginario collettivo, per modificarne la dimensione culturale e antropologica.
La crisi economica attuale
A quanto pare l’uscita dalla crisi non sarà né rapida né indolore. Il dato di fatto da cui partire è che, nella migliore delle ipotesi, essa durerà ancora a lungo. La politica di rigore recentemente varata dalla gran parte dei governi europei, attraverso un aumento della pressione fiscale, ha provocato anzitutto la caduta della domanda, dei consumi – a causa di una diminuzione del reddito ma anche di un clima di incertezza psicologica – e la conseguente recessione, che a sua volta provoca una diminuzione del gettito fiscale.
(...)
Il tasso di disoccupazione giovanile nel Meridione è salito al 45%, il doppio del Nord (22%) e la media nazionale si attesta intorno al 35%, mentre il nostro Paese è al ventitreesimo posto mondiale per livello dei salari (dati OCSE), il 76% dei giovani è costretto alla flessibilità (c’è da stupirsi se poi questi si sentano un corpo estraneo alla società e tentino di separarsene con ogni mezzo?) e il 50% delle pensioni non arriva neanche a mille euro.
(...)
Dal globale al locale ‘consapevole’
La globalizzazione, pur avendo in parte contribuito allo sviluppo sociale, politico ed economico delle società occidentali, non è tuttavia riuscita a mantenere le grandi promesse di benessere collettivo di coloro che l’avevano esaltata. Pertanto, sebbene disconoscerne i meriti sarebbe un grave errore e l’isolamento un male ancora peggiore, la globalizzazione andrebbe posta in termini decisamente diversi, conservandone semmai alcuni aspetti di interscambio culturale e di fecondità dei rapporti umani e sociali.
(...)
Una questione oramai contestabile, collegata a questi aspetti, è quella della crescita come unico paradigma valido e perseguibile, soprattutto se intesa come crescita della produzione e del consumo di merci. Una rivoluzione culturale dovrà essere in grado di smentire una simile e unica narrazione del mondo. Il teorema alternativo e complementare della decrescita, ad esempio, bene si applica in un contesto di ormai irrinunciabile cambiamento di stile di vita, soprattutto nella presa di coscienza che la riduzione dei consumi è imprescindibile nella direzione di una società più sostenibile (il mondo occidentale, da quasi trent’anni, consuma molto più di quanto produce).
(...)
L’esaltazione del denaro ha distrutto in parte i legami sociali, mortificando quei valori fondanti di una società, come la solidarietà, la creatività, persino la spiritualità, ecco perché occorre una rivoluzione culturale in grado di far apprezzare la bellezza di un sistema di valori basato sulla sobrietà e sulla creatività.
(...)
Un modello alternativo di organizzazione sociale, economica e produttiva è pertanto possibile ed è quello che una nuova e coraggiosa classe dirigente, rappresentata da tutte le forze che compongono la società, dovrebbe iniziare a progettare, con una visione di lungo periodo.
Le possibili soluzioni per l’Italia:
a. L’economia
Nel nostro Paese occorrerebbe intraprendere anzitutto una coraggiosa politica di tagli agli sprechi nella pubblica amministrazione, al fine sia di alleggerire il bilancio, sia di eliminare alla base gran parte del consenso clientelare dei partiti.
(...)
Ma per realizzare queste riforme occorre essere mentalmente preparati ad abbandonare tutte le ataviche dinamiche di controllo ‘feudale’ del territorio ed i vizi di corruzione e malcostume che fanno parte di un’intera cultura, quella italiana appunto. La consapevolezza che la classe politica che abbiamo avuto sinora altro non è che il riflesso della società che la esprime e che nessuno di noi ne è escluso, è la base per una reale volontà di cambiamento. Impossibile, infatti, continuare a negare che le responsabilità del degrado della vita sociale in questo paese dipendano da un sistema esteso di valori (o, piuttosto, di disvalori), da una intera cultura in senso antropologico: dal mondo della politica, del sapere e dell’educazione, dell’economia e della finanza, dei media, da quello della scienza e della religione, dalle professioni varie ecc.
(...)
E’ necessario, prima di tutto, riconoscere che la vera rivoluzione socio-culturale non può prescindere da un nuovo patto sociale, a partire da una redistribuzione più equa delle risorse, rivolgendo anzitutto lo sguardo alle sacche di povertà più estrema, senza alcuna distinzione di provenienza etnica, nazionale o sociale.
b. La politica, la società, l’individuo
La crisi economica e delle democrazie alimenta estremismi di diverso genere ed estrazione, i cosiddetti ‘populismi’.
(...)
Le identità nazionali rinascenti prendono avvio dall’angoscia per il futuro, cercando così di guardare a un glorioso passato. L’economista premio Nobel Amartya Sen, in un famoso saggio sull’identità, sostiene che molti dei conflitti e delle atrocità del mondo siano tenuti in piedi dall’illusione di un’identità univoca; promuovere la violenza equivale a coltivare un sentimento di inevitabilità riguardo a una qualche presunta identità unica. La cultura, sostiene ancora l’economista indiano, non è l’unico elemento che determina la nostra vita e la nostra identità. Anche perché gli attuali contatti culturali sanno ibridizzando a tal punto le modalità di comportamento in tutto il mondo che è diventato difficilissimo identificare una qualsiasi “cultura locale” come genuinamente autoctona. A seminare la violenza nel mondo sono l’ignoranza e la confusione, oltre che le ingiustizie trascurate.
(...)
In quanti hanno il coraggio di camminare in una simile direzione di ricostruzione, di solidarietà sociale, così come avvenne alla fine della Seconda Guerra Mondiale? Nella società civile sono in molti ad aver compreso che il bene comune si ottiene con lo sforzo e con la collaborazione di tutti, senza grandi conflitti legati all’identità politica o culturale – perché, si sa, l’identità univoca è spesso utilizzata per legittimare l’inevitabilità del sentimento di appartenenza e dell’intolleranza.
Il cambiamento è ora “Siete voi a generare la capacità di amore e compassione che avete nei vostri cuori, è arrivato il momento di cogliere i frutti che crescono dalle vostre azioni perché siete voi a rendere possibile il cambiamento. Il XXI secolo, sarà il secolo di tutti noi, gente normale, il nostro secolo, il vostro secolo, il secolo di tutti!”
(Birgitta Jónsdóttir, membro del parlamento islandese)
Dafni Ruscetta