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La difesa dei Beni Comuni è stato l'obiettivo del lavoro politico di Stefano Rodotà che, nel 2007, lavorò a una legge apposita. Oggi, dopo 10 anni, intorno al riconoscimento giuridico dei Beni Comuni e alla loro tutela si è costituito un Comitato che promuove una proposta di legge di iniziativa popolare.

«Questa lotta - si legge sul sito del Comitato - deve diventare la lotta di ogni comunità e territorio che troppo spesso hanno subito devastazioni e privatizzazioni di ogni genere.

Abbiamo bisogno di ogni persona e di ogni organizzazione di questo Paese, perché si possano raccogliere non solo le 50.000 firme necessarie per presentare la proposta in Parlamento, ma un milione di firme che riaprano, una volta per tutte, il dibattito a livello nazionale e che respingano, definitivamente, la dominante logica predatoria neoliberista.»

Su questa iniziativa, Paolo Cacciari ha scritto per comune-info un articolo di cui proponiamo alcuni interessanti passaggi.


Una sfida alla mercificazione

di Paolo Cacciari

In nome di Stefano Rodotà, in continuità con i referendum contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali e, soprattutto, a sostegno delle mille battaglie in corso per il riconoscimento dei beni comuni, un gruppo di giuristi (Ugo Mattei, primo firmatario) ha deciso di avviare una campagna di raccolta di firme (ne serviranno mezzo milione) per ripresentare sotto forma di proposta di legge di iniziativa popolare il testo di riforma del Codice civile elaborato dieci anni fa da una apposita commissione di esperti del ministero di Grazia e Giustizia e presieduta – appunto – dal professore Rodotà.

Intenzione del Comitato promotore è riaccendere l’attenzione sullo scandalo della svendita del patrimonio pubblico – l’ultima finanziaria prosegue bellamente su questa sciagurata strada –, ma vuole anche indicare le modalità giuridiche per giungere ad una gestione alternativa alle leggi del mercato dei beni e dei servizi di interesse sociale e collettivo.

Attraverso una nuova classificazione dei beni verrebbero rafforzati i vincoli di inalienabilità e di destinazione d’uso dei beni pubblici demaniali: sia quelli necessari allo stato e agli enti territoriali per svolgere i loro compiti istituzionali, sia quelli funzionali al soddisfacimento di interessi collettivi, sociali e civili dei cittadini. Quindi, le infrastrutture, gli ospedali, gli edifici pubblici, le reti locali di pubblico servizio, l’edilizia residenziale pubblica ed altro ancora che Parlamento e Governo potranno indicare. Inoltre, la vera innovazione prevista dalla legge è l’introduzione nell’ordinamento giuridico della nuova categoria dei “beni comuni”, ossia: “cose che [a prescindere dal titolo di proprietà a persone giuridiche pubbliche o private] esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali, nonché al libero sviluppo della persona”. A titolo esemplificativo la legge Rodotà indicava come beni comuni le risorse naturali, le acque, i boschi, la fauna e la flora selvatiche, i beni archeologici, le zone paesaggistiche e altro ancora.

Una legge nazionale sui beni comuni risolverebbe molti contenziosi e darebbe uno strumento decisivo nelle mani dei movimenti che si battono contro la speculazione urbana e fondiaria e tentano di praticare una rigenerazione con modalità condivise e solidali del patrimonio abbandonato o male utilizzato, pubblico o privato che sia. Ricordando che la Costituzione italiana (articoli 41, 42, 43) riconosce il diritto di proprietà privata solo se “assicura una funzione sociale”. Mentre invece il Codice civile del 1942 ancora in vigore stabilisce che: “Il proprietario ha il diritto di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo” (art. 832). Forse è giunto il momento di cambiare!

Più ancora, ritengo che riaprire il dibattito sul concetto di beni comuni, far entrare la nozione dei commons nell’agenda politica italiana avrebbe un grande valore anche culturale. I beni comuni, infatti, prima di essere delle “cose”, dei beni e dei servizi, indicano un principio generale di organizzazione della società fondato su relazioni solidali orientate alla reciprocità e alla mutualità. Il riconoscimento dei beni comuni sottende un progetto politico di fuoriuscita dal dispotismo proprietario, dall’individualismo egoista, dall’economicismo che nell’ubriacatura liberista ha guidato anche le politiche economiche pubbliche. I beni comuni, prima di essere una formula giuridica per indicare un’appartenenza collettiva e una condivisione non escludente dei benefici dovuti all’uso di determinati beni, sono una sfida alla mercificazione di ogni cosa.

Leggi l'articolo completo su comune-info

Per saperne di più visita il sito del Comitato Popolare di Difesa Beni Comuni, Sociali e Sovrani "Stefano Rodotà"


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