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A Bologna, lo scorso febbraio, ha aperto Camilla – Emporio di Comunità, la prima Food Coop italiana. I soci (più di 400) sono contemporaneamente proprietari, fruitori e gestori, e tutte le mansioni vengono suddivise.
Nel campo dell’economia solidale sono una delle nuove pratiche che cercano di sperimentare modelli di produzione e consumo differenti rispetto al modello unico imposto dal mercato capitalistico; assieme alle CSA (Comunità di Supporto all’Agricoltura), le cosiddette Food Coop (Cooperative di consumo autogestite) possono essere considerate come l’evoluzione dei Gruppi di Acquisto Solidale, da tempo in “crisi” (fatte le debite eccezioni) di progettazione e partecipazione.

Collaborative e autogestite

Le Food Coop di cui parliamo qui, quelle cioè collaborative e autogestite, nascono negli Stati Uniti a metà degli anni ‘70: in particolare a New York, dove un piccolo gruppo di hippie nel 1973 «ebbe l’idea di provare ad aprire un negozio di alimentari, invitando le persone a partecipare non solo per l’acquisto della merce, ma anche per la vendita, mettendo a disposizione parte del loro tempo per lavorare in negozio». Partiti con circa 1.000 soci, oggi la Park Slope Food Coop (www.foodcoop.com) ne conta più di 17.000.
Negli ultimi anni, anche in Europa si è sviluppato il movimento delle Food Coop collaborative e autogestite, soprattutto in Francia, e oggi anche in Italia è attiva la prima esperienza di questo tipo.
Il 9 febbraio 2019 apre ufficialmente a Bologna, Camilla – Emporio di Comunità, la prima Food Coop italiana (camilla.coop). 170 mq di negozio (di cui 40 mq dedicati a ufficio soci e sala riunioni) in cui i soci iscritti possono acquistare cibo e prodotti non alimentari di qualità, sani e provenienti da aziende etiche, rispettose dell’ambiente e dei diritti del lavoro.

La prima Food Coop italiana

Ci sono voluti circa tre anni di gestazione da quando, nel gennaio 2016, un piccolo gruppo di aderenti al Gas Alchemilla e all’associazione Campi Aperti hanno cominciato a pensare al progetto; all’inizio il gruppo promotore, che aveva raggiunto la quota di circa 20 persone, si incontrava anche 3-4 giorni alla settimana per progettare la cooperativa e stendere la carta degli intenti. Poi si sono ampliati fino a circa 50 persone, che hanno formato il gruppo fondatore e hanno cominciato a suddividersi in gruppi di lavoro per sviluppare i diversi ambiti del progetto (individuazione della forma societaria, statuto, regolamento, obblighi normativi, rapporti coi fornitori, comunicazione, ecc). Dopodiché hanno cominciato a fare iniziative di promozione e raccolta adesioni.
Agli incontri proponevano di aderire alla coop in forma di “promessa di adesione”, in cui i firmatari dichiaravano la propria intenzione di aderire una volta formatasi ufficialmente la cooperativa. La raccolta delle adesioni è proseguita fino al raggiungimento della quota di 400 soci, individuata come soglia minima per poter aprire l’emporio.
Una volta trovata la massa critica, è stato individuato il locale e sono iniziati i lavori di ristrutturazione, quasi completamente autogestiti grazie alle competenze tecniche di alcuni soci. Attrezzature, arredi e suppellettili sono stati ricevuti in regalo o acquistati nei circuiti dell’usato, coerentemente con i principi del riuso e del riciclo.

«L’emporio autogestito e solidale non ha finalità di lucro e mira al bene comune della comunità che lo sostiene. Grazie alla sua organizzazione interna e al rapporto diretto con i produttori – che sostiene con patti di collaborazione – offre ai soci la possibilità di nutrirsi di buon cibo a buon prezzo e, nel contempo, garantisce ai contadini e agli altri fornitori un degno compenso del loro lavoro.
Al contrario, il supermercato persegue una finalità di profitto e offre prodotti a basso prezzo grazie alla sua posizione di potere nella filiera, che consente ad esso di imporre ai produttori compensi sempre più bassi. Per molti decenni, i consumatori sono stati indotti ad inseguire il prezzo basso, come se i costi di produzione fossero comprimibili all’infinito. Ora sappiamo che questo era un inganno e il prezzo si paga sempre e comunque. Ciò che non paghiamo oggi in merce, lo pagheremo poi (noi o altri) in minor salute, minori salari, minore occupazione, minore salubrità dell’ambiente, ecc.»

La priorità sono le relazioni

La caratteristica comune con Park Slope e le altre Food Coop europee, rimane nel modello organizzativo, in cui la parola chiave è “autogestione”: tutti i soci della cooperativa si impegnano ufficialmente a dedicare una quota del proprio tempo (3 ore al mese) alla gestione dell’emporio, svolgendo a turno le varie mansioni che permettono il buon funzionamento dell’attività. È una reciproca assunzione di responsabilità nei confronti degli altri soci e del progetto nel suo insieme, mediante la quale «grazie alla collaborazione di tutti i soci, le spese di gestione dell’emporio saranno ridotte al minimo e di conseguenza anche i prezzi di vendita saranno ridotti e il più possibile alla portata di tutte le tasche».
La sostenibilità economica del progetto è una questione importante ma in questa fase di avvio non è sentita come prioritaria: «Essendo un emporio – e quindi di fatto una impresa – deve avere una sostenibilità economica e per ottenere questo serve avere un elevato livello di efficienza organizzativa, ma quello che abbiamo imparato in tutto questo tempo è che l’efficienza non è la priorità; la priorità sono le relazioni che si creano tra i partecipanti, attorno ai valori forti che informano e sorreggono il progetto, valori che devono proteggere il progetto da derive efficientiste fini a se stesse.
Siamo convinti che il raggiungimento di una forte coesione attorno ai principi e una forte cultura dell’autogestione porteranno per vie “naturali” verso il miglioramento dell’efficienza organizzativa, fino al raggiungimento del giusto equilibrio tra le due componenti. Ma questo è un percorso complesso, va fatto un grosso lavoro culturale sulla pratica dell’autogestione; molti soci differenziano ancora “noi e voi”: l’obiettivo è che tutti i soci si identifichino con il noi».
L’esperienza bolognese sta già contaminando altri gruppi e diffondendo in altre città italiane: a Cagliari è in stato avanzato di lavori la Cooperativa Mesa Noa (www.mesanoa.org, www.facebook.com/foodcoopcagliari), mentre a Parma sono aperti i cantieri di Oltre Food Coop (www.oltrefoodcoop.it); anche a Milano si è da poco costituito un gruppo con la stessa finalità (per maggiori info: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).

Massimo Torsello

Leggi l'articolo integrale pubblicato su "A" Rivista anarchica


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