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Discriminazioni etniche e di genere nello stato di Israele: questo il tema che Smadar Lavie, antropologa e docente universitaria israeliana, propone nel suo giro di conferenze in Italia.

Smadar Lavie si è formata negli Stati Uniti, consegue il dottorato nell'Università di Berkeley (California) e nel 1994 diventa docente di Antropologia e teoria critica. Nel 1999 rientra in Israele dove continua a insegnare, ma a causa dei suoi studi sulle discriminazioni etniche e di genere operate dalla classe dirigente del Paese viene espulsa dall’Università.
Nonostante le difficili condizioni economiche in cui l'ostracismo del sistema universitario la costringe, Smadar Lavie prosegue la sua attività di studiosa e attivista politica, contribuisce a fondare il gruppo Ahoti, un movimento di femministe ebree arabe di colore appartenenti all'etnia Mizrahim.Smadar Lavie

«I Mizrahim – racconta Lavie al pubblico del Centro Studi Sereno Regis nell'incontro che si è svolto a Torino il 4 maggio – sono gli ebrei orientali, discendenti dalle comunità ebraiche del Medio Oriente, del Marocco, dell'Egitto, del mondo islamico in generale, dell'Iraq, dell'Iran ma anche dell'India. La gran parte degli ebrei Mizrahim arriva in Israele nel 1948, in seguito alla guerra arabo-israeliana e alla conseguente ostilità di cui sono fatti oggetto nei paesi di origine. Si distinguono dagli Ashkenazi, l'altra grande etnia di Israele proveniente dall'Europa, per cultura, abitudini, lingua, fino al colore della pelle.»
Da subito si creano forti contrasti tra le due comunità, divise in particolare sulla diversa concezione dello Stato, fortemente religiosa e legata all'ortodossia per i Mizrahim, laica e nazionalista per gli Ashkenazi. Questi ultimi, che nei Paesi di provenienza erano spesso parte integrante dell'establishement politico, economico e culturale, sono il gruppo egemonico al potere in Israele. I Mizrahim invece hanno risorse sociali ed economiche di gran lunga inferiori, hanno una scarsa scolarizzazione e una bassa specializzazione professionale.

I governi israeliani che si susseguono, saldamente in mano alla classe dirigente ashkenazita, attuano politiche di marginalizzazione ed esclusione nei confronti degli ebrei di origine araba.
Spiega Smadar Lavie: «Le élites ashkenazite hanno messo in atto una strategia di dearabizzazione dello Stato di Israele, deprivando i Mizrahim della loro cultura, negandogli l'accesso all'istruzione e la possibilità di elevarsi socialmente. Ne hanno favorito l'espulsione dai centri urbani verso gli insediamenti sottratti ai Palestinesi, economicamente accessibili per i più svantaggiati ma soprattutto lontani dai centri del potere. Questo ha poi contribuito anche a radicalizzare le tensioni tra ebrei arabi e palestinesi».

Secondo uno studio redatto nel 2003 dell'ADVA Center, centro di ricerca di Tel Aviv (www.adva.org), esiste una netta disparità salariale tra ebrei di origini occidentali ed ebrei "orientali" o asiatici di cui i Mizrahim fanno parte; lo stesso divario è stato rilevato per l'istruzione dove sono ampiamente favoriti i giovani appartenenti al gruppo Ashkenazi ed il dato è esplicitamente connesso allo status socio-economico. Ad aggravare ulteriormente le profonde disuguaglianze tra i diversi gruppi della popolazione è stata la scelta di Israele di passare da un'economia fondata sulla redistribuzione del reddito nazionale al modello liberista del capitalismo globale.

«La discriminazione etnica però – avverte Lavie – è fittamente intrecciata anche con quella di genere: se ancora nel 2000 appena il 9 per cento del corpo accademico israeliano era composto da donne, ebbene nessuna di queste era Mizrahim.»
Nel suo lungo percorso di attivista, Smadar Lavie ha attraversato le forti contraddizioni all'interno del movimento femminista israeliano, in cui le donne ashkenazite delle classi sociali più elevate hanno un ruolo determinante e in cui si riproducevano le ragioni delle disuguaglianze etniche. «Così come è accaduto al movimento statunitense negli anni Settanta, bianco e elitario, che s'è trovato a confrontarsi con la protesta delle donne nere, anche il femminismo israeliano ha dovuto prendere atto della esistenza di una questione Mizrahim. Il dialogo fino ad allora era incentrato con le donne palestinesi, sottendendo che come ebree fossimo tutte uguali. Di fatto noi ebree-arabe, escluse dalla società israeliana, non avevamo rappresentanza, non potevamo fare sentire la nostra voce neppure all'interno del movimento.»

La protesta delle femministe e pacifiste Mizrahim rivela con forza il nesso tra etnia e potere: «Com'è possibile lottare contro le discriminazioni di genere e nel contempo ignorare le discriminazioni etniche e di classe? La costruzione dell'identità di genere passa attraverso la complessità del definire le svariate forme della discriminazione. E su questa contraddizione abbiamo costretto le donne israeliane a riflettere».
Il movimento Ahoti, composto da ebree arabe di colore e di cui Smadar Lavie fa parte, è particolarmente attivo sui temi della parità di diritti tra tutti i cittadini israeliani contro ogni tipo di discriminazione e per una pace giusta con i Palestinesi. L'intreccio è, per Lavie, indissolubile: «Quella israeliana è una società attraversata da conflitti, militarizzata e razzista, sciogliere questi nodi è indispensabile se si vuole davvero arrivare a un trattato di pace possibile col popolo palestinese».

Il pubblico in sala segue attento le parole di Smadar Lavie (molto ben tradotte da Stefania Cherchi, delle Donne in nero di Piacenza, profonda conoscitrice del movimento delle femministe Mizrahim), che racconta di una realtà ignorata dai media italiani. Ha uno sguardo intenso e parla con passione dei problemi che attanagliano la sua comunità ma anche con la lucidità di chi vive quotidianamente la tragedia di un conflitto che ha radici antiche e sa di non poterne prescindere.
Il suo intervento pone dubbi e questioni sull’agire politico delle donne, in Israele certo ma non solo, però è capace anche di donare speranze. Il riconoscimento e la rivalutazione delle componenti arabe della cultura Mizrahim all’interno della società israeliana (di cui costituiscono una larga parte) offrirebbero un’apertura concreta al dialogo coi palestinesi.
Nel difficile cammino per la pace e la convivenza tra israeliani e palestinesi può diventare cruciale anche l'apporto critico di idee e di energie delle donne Mizrahim.

Cati Schintu

 

pubblicato su DonneInViaggio del 29.05.2006

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