Qualcuno l’ha definito un ossimoro, per sottolineare l’impossibilità che la religione musulmana possa conciliarsi con l’autodeterminazione femminile, ma il femminismo islamico è oggi uno strumento di elaborazione, di riflessione e di lotta politica per milioni di donne.
Di femminismo islamico si è parlato in un incontro organizzato dal Cirsde-Centro Interdisciplinare di Ricerche e studi delle donne che si è svolto a Torino lo scorso 6 marzo. O per meglio dire, si è parlato di “femminismi” perché, come hanno ricordato le studiose che hanno partecipato all’incontro, nei differenti contesti del mondo islamico, più o meno fondamentalisti, e nell’esperienza dell’immigrazione le pratiche delle donne hanno dato esiti assai diversi.
Nel tentativo di proporre una sintesi, Ruba Salih, antropologa palestinese, docente dell’Università di Bologna, che da anni si occupa di ricerca sulla condizione delle donne in Medio Oriente e sui processi di costruzione dell’identità di genere, individua almeno tre percorsi in cui si è differenziato il femminismo islamico innanzitutto nell’elaborazione del rapporto con la religione.
La corrente del pensiero delle donne più marcatamente islamista, pur partendo dalla constatazione dell’oppressione subita, non rivendica come tema centrale l’uguaglianza ma il principio della complementarità tra i generi, secondo una lettura tradizionalista del Corano. «Nasce in opposizione al femminismo laico ed élitario che ha fatto sua la retorica coloniale della modernizzazione, concepita come acquisizione di un modello di società occidentale», precisa Ruba Salih.
Il femminismo laico e modernista, invece, riconduce lo specifico religioso a una dimensione personale e privata e fa più compiutamente riferimento all’universalità dei diritti delle donne sanciti dalle Convenzioni internazionali.
Tra questi due poli è cresciuta nei paesi islamici e tra le comunità di immigrate una molteplicità di movimenti femminili, caratterizzati da una continua ricerca di compatibilità fra appartenenza religiosa e rivendicazione dei principi di uguaglianza fra i generi, che nella pratica politica propongono nuovi diritti di cittadinanza. Così come è avvenuto in Marocco dove un’ampia presenza femminile nella società ha reso possibile l’approvazione del nuovo Codice sulla famiglia che oggi garantisce una maggiore tutela dei diritti delle donne come persone e come cittadine, ma sempre nel costante richiamo ai principi coranici.
Il femminismo islamico non è dunque una prassi politica facilmente classificabile e identificabile, così come è stato nell’esperienza occidentale, ma il tentativo di parlare a più mondi culturalmente molto distanti, sia in Europa sia nei paesi musulmani. Un insieme di riflessioni e di pratiche attraverso cui le donne hanno reclamato e reclamano i propri diritti, nell’orizzonte però del proprio retaggio culturale e religioso, sia pure sottoposto a negoziazioni continue.
Per tutte, anche per le femministe laiche, il dato religioso è ineludibile. La rilettura del Corano e più in generale delle fonti islamiche è uno strumento indispensabile per legittimare il pensiero femminista che rivendica in questa nuova interpretazione della tradizione i diritti delle donne, l’eguaglianza di genere, la giustizia sociale. L’ermeneutica femminista pone l’accento sui versi coranici che enunciano l’uguaglianza di uomini e donne, decostruendo le interpretazioni che i religiosi musulmani hanno fin qui dato per giustificare la supremazia maschile.
In Iran, ad esempio, sta crescendo una nuova élite intellettuale di donne che si dedicano agli studi teologici e giurisprudenziali con uno sguardo di genere, per reclamare l’abolizione di leggi che le discriminano e questo intenso dialogo con la tradizione e le fonti conferisce loro una maggiore capacità di incidere nella società. Lo sottolinea Anna Vanzan, studiosa di cultura islamica presso l’Università IULM di Milano.
In Iran il movimento femminista ha una lunga tradizione, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, mentre agli inizi del secolo scorso nascono le prime organizzazioni di donne che dibattono di diritti, promuovono interventi pubblici, pubblicano libri, giornali e riviste. Attraverso questa importante produzione di idee e proposte politiche si è diffusa una maggiore consapevolezza nella società civile che si è poi affermata nel movimento per le riforme democratiche degli anni Novanta, di cui le donne sono state motore fondamentale.
«L’ascesa delle scrittrici e delle intellettuali – racconta Anna Vanzan – è un fenomeno di enorme portata il cui impatto sull’assetto sociopolitico e culturale del paese è sempre più rilevante, nonostante il controllo e la dura repressione esercitati dal regime teocratico iraniano. L’alto grado di istruzione raggiunto dalle donne fa sì che questa produzione editoriale abbia una diffusione abbastanza ampia, diventando strumento di riflessione, discussione e lotta.»
Scrittrici e intellettuali sono anche tra le promotrici, insieme con l’avvocata premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, della campagna “Un milione di firme” partita nell’agosto del 2006 che chiede l’abolizione delle leggi discriminatorie contro le donne. «L’esistenza di queste leggi degrada le donne, le riduce a cittadine di seconda classe, assegna loro un valore che è metà di quello dell’uomo», si legge nell’appello, pubblicato sul sito www.we-change.org, promosso, tra le altre, dall’anziana poetessa Simin Behbahani, che le femministe iraniane considerano come loro ispiratrice, dalla prima donna editore in Iran Shahla Lahiji, dalla regista Tahmineh Milani, dalla giornalista Sahla Sherkat, fondatrice e direttora della rivista Zanan («Donne»), punto di riferimento del femminismo iraniano. Donne che hanno spesso pagato con il carcere il loro attivismo.
Ulteriori livelli di complessità si evidenziano nell’esperienza delle donne islamiche immigrate in Europa.
Del femminismo islamico nelle comunità di immigrazione hanno parlato Eva Lorenzoni, dottoranda in Sociologia e Ricerca sociale presso l’Università di Torino, e Fatima Habib Eddine, del Centro giovani islamiche in Italia.
Eva Lorenzoni conduce una ricerca tra le donne immigrate di origine marocchina a Torino e a Parigi, focalizzata sulle modalità con cui esse si definiscono, concretamente ma anche sul piano simbolico, in ambiti complessi come quelli dei paesi che le ospitano in cui spesso gli immigrati sono rappresentati e vissuti come un problema e una minaccia.
A partire da questo dato di incomunicabilità che sancisce la differenza insormontabile tra “noi” e “loro” si può leggere la radicalizzazione tradizionalista nelle comunità di immigrati.
In questo contesto, l’islamismo diventa il paradigma di un’autodefinizione individuale e sociale e una via possibile verso una emancipazione che sappia superare la dicotomia modernità occidentale/integralismo patriarcale, passando attraverso la reinterpretazione delle proprie tradizioni.
L’adesione all’Islam è largamente percepita come scelta consapevole di un sistema religioso e culturale che – correttamente reinterpretato e senza radicali rotture teologiche – riconosce dignità e valore alla donna e che solo il potere patriarcale ha potuto distorcere.
Come ha osservato Margot Badran, studiosa della condizione femminile nelle società musulmane, nel saggio “Femminismo islamico: che cosa significa” (pubblicato nel volume Senza velo. Donne nell'Islam contro l'integralismo, a cura di Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo, Edizioni Intra Moenia), «la seconda generazione di donne musulmane che vivono nelle comunità occidentali della diaspora e nelle comunità musulmane minoritarie si trova spesso stretta tra le pratiche e le regole delle culture d’origine dei genitori e i modi di vita nelle loro nuove patrie.
Il femminismo islamico aiuta queste donne a districarsi tra religione e sistema patriarcale; fornisce loro modi islamici di comprendere l’uguaglianza di genere, le opportunità sociali e il loro proprio potenziale».
Lo sguardo occidentale coglie soprattutto gli aspetti più oscuri e stereotipati dell’Islam, mentre tende a ignorare che tanta parte del mondo musulmano aspira e cerca di costruire un sistema democratico in cui i diritti della persona siano tutelati. «E in questo – sottolinea Fatima Habib Eddine – il femminismo islamico può svolgere un ruolo fondamentale perché propone pratiche e strategie politiche, seppure con diverse sfumature, in grado di contrapporsi a integralismi e fondamentalismi».
Cati Schintu