Una mattina di un giorno qualsiasi sono uscita di casa decisa a sorridere a tutti.
Al conducente del tram che mi accoglie al capolinea per portarmi al lavoro. A quell’ora sono l’unica passeggera, è troppo presto per gli altri.
Mi ha guardato di traverso, temendo forse che gli domandassi dello sciopero imminente.
Quando sono scesa ho accennato un sorriso con gli occhi a una anziana signora con un enorme pacco di radiografie che probabilmente portava con sé per un nuovo controllo: ha fatto un passo indietro, temendo che la volessi scippare.
Nella lunga camminata che dalla fermata mi porta in ufficio ho ritentato, senza successo, di fare un cenno di saluto con una stirata di labbra ai proprietari di cani che a quell’ora li portano a fare il primo bisognino.
Hanno cambiato lato della strada temendo che li volessi apostrofare per non aver raccolto quanto prodotto…
Non ho avuto maggior fortuna nel corso della mattinata, né al mio ritorno a casa, perché tutti, ripeto tutti mi guardavano chi con sospetto, chi con un’aria di commiserazione ritenendomi una povera scema.
Deduzione finale: sorridere non è più di moda, se lo si fa a una persona che non si conosce personalmente si suscitano solo mugugni e sospetti, tanto siamo immersi in questo magma di diffidenza e disgusto per il nostro prossimo.
Sempre pronti a reagire, ad alzare barricate, a difenderci temendo attacchi fisici o magari domanda di questua, quando non addirittura scippi o raggiri.
Eppure quando nasciamo il sorriso è un istinto che nessuno ci ha insegnato, lo facciamo spontaneamente e non imitando. Sarà solo più tardi che lo useremo a fini comunicativi.
E allora, dove ci siamo persi? Quando è stato il punto di rottura e di non ritorno?
Penso ad esempio, come paradigma dell’ipocrisia imperante, ai sorrisi dei politici, quelli che campeggiano sui manifesti formato elettorale e che tentando di ispirarci fiducia e di meritarsi un voto cercano di palesare la loro simpatia nei nostri confronti “Votami e la vita ti sorriderà…”.
Ho letto di recente una poesia che di Wislawa Szymborska (la grande poetessa polacca, premio Nobel, mancata il primo febbraio di quest’anno), intitolata Sorrisi.
È proprio dedicata ai politici e la trovo, come tutti i suoi testi, fulminante nella sua schiettezza.
Tiziana Franchi
Da Vista con granello di sabbia. Poesie (1957-1993), Adelphi, 2004
Sorrisi
Il mondo vuol vedere la speranza sul viso.
Per gli statisti diventa d’obbligo il sorriso.
Sorridere vuol dire non darsi allo sconforto.
Anche se il gioco è complesso, l’esito incerto,
gli interessi contrastanti – è sempre consolante
che la dentatura sia bianca e ben smagliante.
Devono mostrare una fronte rasserenata
sulla pista e nella sala delle conferenze.
Un’andatura svelta, un’espressione distesa.
Quello dà il benvenuto, quest’altro si accomiata.
E’ quanto mai necessario un volto sorridente
per gli obiettivi e tutta la gente lì in attesa.
La stomatologia in forza della diplomazia
garantisce sempre un risultato impressionante.
Canini di buona volontà e incisivi lieti
non possono mancare quando l’aria è pesante.
I nostri tempi non sono ancora così allegri
perché sui visi traspaia la malinconia.
Un’umanità fraterna, dicono i sognatori,
trasformerà la terra nel paese del sorriso.
Ho qualche dubbio. Gli statisti, se fosse vero,
non dovrebbero sorridere il giorno intero.
Solo a volte: perché è primavera, tanti i fiori,
non c’è fretta alcuna, né tensione in viso.
Gli esseri umani sono tristi per natura.
È quanto mi aspetto, e non è poi così dura.