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I familiari delle vittime al processo Eternit“Da 140 anni raccontiamo su pagine di carta la cultura, l’economia, la vita del Monferrato. E continueremo a farlo. Ma intanto ci prepariamo al futuro. Perché questo territorio può avere un grande futuro.”
Marco Giorcelli, direttore de Il Monferrato

Marco Giorcelli è morto il 15 marzo scorso per mesotelioma maligno epiteliomorfo.
Le parole che avete appena letto appaiono sotto la testata de Il Monferrato, giornale che ha diretto per 19 anni.
Non aveva mai lavorato all’Eternit e non vedrà mai il grande futuro del territorio dove ha vissuto fino alla fine.

Aveva 51 anni e per anni ha profuso tutto il suo impegno nel raccontare la tragedia dell’amianto a Casale – e non solo – con la tenacia e la passione di una persona che amava profondamente la sua città. Sua moglie, Silvana Mossano, giornalista de La Stampa, è l’autrice del libro Malapolvere, da cui è stato tratto l’omonimo lavoro teatrale dell’attrice torinese Laura Curino, di cui abbiamo già parlato su questo sito in occasione della sentenza Eternit.

È un insegnamento di impegno civile, di amore per la propria terra, di attaccamento al proprio lavoro in un mondo guidato e orientato solo ed esclusivamente da interessi personali.
Chissà se i due ultimi proprietari dell’Eternit, Stephan Ernest Schmidheiny, 64 anni e Louis de Cartier de Marchienne, 90 anni, condannati a sedici anni di carcere, continuano a dormire i sonni sereni di chi è a posto con la propria coscienza.

La tragedia dell’amianto, come tutti ormai sappiamo non è solo di Casale. Ricordiamo tra le altre le città di Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli), dove altre vittime, per prescrizione dei reati, non hanno ottenuto giustizia nel processo conclusosi il 17 febbraio scorso a Torino.
Ma andranno avanti nella loro lotta.
Ed è così in molte altre situazioni italiane di inquinamento e malattia che attendono giustizia e che purtroppo per molti anni ancora si affacceranno alle cronache raccontando di lavoratori o semplici cittadini che hanno vissuto, abitato e respirato l’aria di città e borghi in cui fabbriche che promettevano lavoro e benessere hanno invece mantenuto solo promesse di morte.

Morti conseguenza di scellerate scelte di avidità e potere da parte di industriali senza scrupoli e assolutamente consapevoli del loro operato. Conseguenza quindi, non destino.

Tiziana Franchi

Riportiamo di seguito uno stralcio di quanto scritto da Marco Giorcelli sul suo giornale il 31 gennaio 2011, a pochi giorni dalla diagnosi che lo avrebbe portato via in poco più di anno.

“Mesotelioma maligno epiteliomorfo. Il verdetto sta lì, in tre parole. Con la terza – mi hanno spiegato – che sa di speranza, perché indica la forma meno aggressiva di questo tumore. Il tumore dell’amianto.
Quella che meglio si può provare a combattere, con maggiori speranze di sopravvivenza. E io ci proverò.
Ma quelle tre parole, così nitide su un referto medico che non ha bisogno di aggiungere troppe spiegazioni, da martedì 25 gennaio sono la mia stella di David, il segno di una diversità – chiamiamola malattia – che dentro di me ha cambiato tutto.
(…) È quello che si è portato via prima centinaia di lavoratori dell’Eternit, poi centinaia di cittadini, di età diverse. «Esposizione di tipo ambientale», conclude l’oncologa. Certo. Mica ho lavorato mai l’amianto. Ma a Casale Monferrato, questa città sfortunata, devastata, che però non posso certo smettere di amare, ci ho vissuto sempre.
(…) Noi di Casale Monferrato. Una piccola Hiroshima, una piccola Nagasaki, una piccola Chernobyl.
Ma quanto piccola? Certo siamo compagni di sventura, e se raccogliessimo le tute di coloro che hanno lavorato l’amianto e d’amianto sono morti, ne potremmo fare un cumulo enorme, come ad Auschwitz. E, in un altro mucchio, le scarpe, le borse, i libri di coloro che l’amianto non l’hanno lavorato mai, ma che sono morti ugualmente per questa fibra maledetta.
Finora, dal 25 gennaio, non ho ancora provato rabbia, dico un sentimento personale risentito, per coloro che hanno disseminato la città di quella malapolvere che ha portato via tanti di noi. (…)
Perché la rabbia la provo da anni: non per gli imputati del maxiprocesso che si sta celebrando a Torino, il più grande mai aperto in Italia per una strage sul lavoro, ma per tutto quel cumulo di crudeltà, menzogne, sotterfugi, connivenze, che ha consentito ai «signori dell’amianto» di costruire, a Casale e nel mondo, una mostruosa macchina per produrre potere e denaro, denaro e potere: una fuoriserie con piccolo, forse - per loro - trascurabile difetto, quello di consumare carburante umano: dignità, vite e famiglie spezzate. Trasformate in polvere prima che il loro destino fosse compiuto.
Onestamente, prima del maxiprocesso in corso a Torino, pensavo che all’origine del disastro ci fossero atteggiamenti gravemente colpevoli, ma soprattutto irresponsabili: una terribile leggerezza, una tremenda sottovalutazione del rischio. Ciò che è emerso al processo, che ha rilevato l’esistenza addirittura di manuali della menzogna e dunque una atroce consapevolezza di quanto si stava facendo e causando, mi ha atterrito. Dei colpevoli ci sono sicuramente e il loro è stato un delitto contro l’umanità. Gli imputati hanno diritto a un processo giusto e auguro loro di non essere colpevoli: altrimenti per loro si dovrebbe provare pena, più che rabbia, per come hanno negato il senso dell’umanità nel nome del profitto, del potere.
Certo, noi di Casale Monferrato chiediamo giustizia. Per i nostri morti, per le nostre sofferenze, per le nostre famiglie sconquassate come se sul nostro cielo si fosse combattuta, nel ventesimo secolo, un’altra guerra. Lunghissima, estenuante. E senza possibilità di difenderci. Un crimine contro l’umanità.

Leggi la versione integrale dell'articolo di Marco Giorcelli sul Monferrato

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