Quando penso a tutti i libri che mi rimangono da leggere, ho la certezza di poter essere ancora felice.
Jules Renard
Tornai a ripiegare il brano e lo mangiai.
Sam Savage, Firmino
Fu un venditore porta a porta – tipico di quei tempi – che negli anni Sessanta riuscì a vendere ai miei una trentina di classici della Einaudi. Ancora cambiali.
Loro non li avrebbero mai letti, presi com’erano tra lavoro, due figlie piccole e preoccupazioni varie, ma l’insistente piazzista li convinse a riempire il mobile svedese che aveva notato ancora completamente vuoto.
Io già allora amavo leggere ma non avevo disponibili molti volumi adatti alla mia età e così a partire dai 10-11 anni iniziai una sistematica lettura, anche se ci capivo veramente poco.
Erano classici tipo La pelle di Curzio Malaparte, Ragazzi di vita, di Pasolini, L’isola di Arturo, della Morante.
Tutti libri che ripresi anni dopo, finalmente comprendendoli ed amandoli.
Le parole che si inseguono sulle pagine, il piccolo brivido che sempre mi prende alla prima pagina, quella dell’incipit, il profumo del libro ancora intonso e la magia di questa pratica mi hanno insegnato molto e ancora oggi mi accompagnano, pur avendo un po’ di difficoltà a spendere più di tanto, essendo diventato troppo oneroso fornirmi in libreria.
Per fortuna c’è la Biblioteca Civica ed è lì che ogni settimana prendo in prestito almeno 3-4 libri, senza paura di sentirmi in colpa se per caso la scelta cade su qualcosa che poi non mi piacerà e tralascerò dopo una parziale lettura.
Un rito a cui non posso rinunciare.
In questi ultimi tempi poi la lettura è diventata un irrinunciabile aiuto nel farmi accantonare per qualche ora le preoccupazioni e i pensieri che mi assillano.
Poco lavoro, risparmi in parte erosi per pagare tasse e balzelli fanno sì che il cervello continui a rimuginare senza sosta.
Intorno a me amici ed amiche con storie di lavoro cercato e non trovato, cassa integrazione anche in ambiti lavorativi molto ristretti, part-time imposti, quando non licenziamenti in tronco.
Così durante il giorno lavoro, ascolto la radio e leggo quotidiani per informarmi di quanto mi accade intorno, cosa che sempre più mi rattrista e mi sconforta e alla sera, dopo cena, non accendo la televisione ma leggo, leggo, leggo fino a che il sonno non mi prende.
Questa buona abitudine mi distrae, mi tiene in vita, mi fa credere e sperare che chi scrive, prosa o poesia, saggi o romanzi, gialli o altro, sappia ancora attingere in sé la forza dell’intelligenza, la volontà di resistere ad un mondo oppresso da ignoranza e pressapochismo, stupidità e avidità, incapacità di vedere cosa accade un po’ più in basso di quei piedistalli su cui il potere si è issato, dettando legge e distribuendo tasse, mantenendo però intatto ogni suo privilegio.
E sempre più mi sento Firmino, il topo di Sam Savage (chi non lo conosce, lo deve leggere!) che si nutre di libri e si smarrisce nelle loro trame.
Tiziana Franchi