Ho letto tutti libri di Rita Charbonnier: La sorella di Mozart, La strana giornata di Alexandre Dumas, Le due vite di Elsa. Romanzi belli, avvincenti, molto curati per ambientazione storica e con protagoniste attualissime, pur se collocate lontane dai nostri giorni, con connotazioni psicologiche che mi hanno toccato in punti molto sensibili.
Curiosa di conoscere questa autrice, ho visitato il suo sito e la pagina FB da cui emerge una donna versatile, che sa guardarsi attorno senza preclusioni, curiosa di esperienze, attenta al mondo che la circonda.
La sua carriera lavorativa prende avvio dalla Scuola di Teatro dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, a Siracusa; fin da subito recita con compagnie importanti, è anche cantante in commedie musicali, pianista, attrice di fiction televisive al fianco di grandi attori tra cui Lucia Poli, Nino Manfredi e molti altri.
Poi la scrittura, derivante anche dalla precoce dimestichezza con la lettura; scrittrice di articoli per riviste di teatro e, da ultimo, romanzi. Il suo primo romanzo nasce sull’onda della curiosità per Nannerl Mozart, sorella maggiore del più famoso Wolfgang, bambina prodigio con un grande talento musicale, vissuta però all’ombra dell’ingombrante fratello. A La sorella di Mozart seguono gli altri due romanzi, altrettanto curati nell’ambientazione storica.
Il tutto senza mai lasciarsi andare all’improvvisazione, ma ogni volta ricominciando daccapo con lo studio, l’approfondimento, la ricerca.
E poi sceneggiatrice per serie televisive di vario argomento e taglio, e documentari impegnati in tema di volontariato, vincitori di premi prestigiosi.
Ancora, per arrivare ai giorni nostri, la presentazione dei suoi romanzi in forma di reading musicali.
Last but non least, la nascita di un’impresa tutta al femminile, Scrittura a tutto tondo, che offre servizi di consulenza al mondo della scrittura e dell’editoria digitale, con uno sguardo attento e generoso per gli aspiranti scrittori.
Non credo di aver esaurito gli argomenti sulla modernità di Rita Charbonnier, per cui ho pensato – e la ringrazio per la disponibilità mostrata – di rivolgerle qualche domanda, che forse offrirà spunti utili a far riflettere chi oggi è alla ricerca di una propria strada in un mondo del lavoro che sempre più cerca di globalizzarci, costringendoci in percorsi lontani da noi e dai nostri interessi.
Rita Charbonnier, innanzitutto desidero ringraziarla per aver risposto prontamente e con molta cordialità alla mail che le ho indirizzato dopo averla scoperta come scrittrice, cosa che mi ha subito spinta a leggere tutta la sua produzione.
Ma grazie a lei! Non solo il contenuto, ma anche e soprattutto il tono della sua prima email (sincero e persino affettuoso) mi hanno colpita, e indotta a entrare in contatto. E ogni volta che una cosa bella come questa avviene, non posso non rivolgere un pensiero di gratitudine agli inventori della rete Internet – che certo, nasconde diverse insidie, ma offre anche numerose, buone possibilità.
Penso che la sua carriera possa essere di esempio per quanti oggi sono all’affannosa ricerca di una propria strada, dibattuti magari dalla scelta di indirizzi di studi che non sempre gli si rivelano confacenti e poi prigionieri di carriere che vorrebbero intraprendere, senza la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro odierno. E questo anche alla luce di dati statistici spietati nella loro fredda realtà.
Francamente mi risulta un po’ difficile accettare l’idea che la mia piccola esperienza personale possa fungere da esempio… ma non posso non ringraziarla nuovamente per l’apprezzamento. Venendo allo specifico, che il mondo del lavoro non sia una strada spianata per nessuno, e che in
particolare non lo sia da alcuni anni a questa parte, è un dato di fatto – come lei puntualizza. Dunque, che fare?
Probabilmente, e semplicemente, occorre spianarsi una strada che si muova nel terreno compreso tra i nostri desideri e il contesto nel quale ci troviamo immersi. Il che è poi la sostanza della vita: una continua mediazione e integrazione tra noi e l’Altro.
Ma soprattutto, direi, occorrerebbe evitare le lamentazioni. Conosco alcuni meno-che-trentenni che utilizzano le difficoltà dell’oggi come scusa per evitare il “lavoro sporco”, o per farselo fare da altri – e mi viene da pensare ai loro nonni, che si costruirono una vita (magari non sempre felice, questo è ovvio) sulle ceneri di un Paese distrutto da una Guerra Mondiale.
Eviterei, se possibile, la retorica dei “bamboccioni” così come quella di “aiutati che il Ciel t’aiuta”. Mi limiterei ad affermare che questo è il nostro mondo, il nostro tempo e il nostro contesto, e che desiderare ipotetici Eldoradi non serve assolutamente a niente. Qui siamo, e agiamo. E lo dico, naturalmente, in primo luogo a me stessa.
Sembrerebbe che lei abbia fatto suo lo spirito delle sliding doors che di volta in volta le si presentano, pronta a seguire la sua curiosità e la voglia di ricominciare daccapo, studiando, approfondendo, cimentandosi in nuovi settori, senza mai improvvisare come invece fanno molti tuttologi che imperversano in ogni campo, rimanendo in superficie, lambendo l’onda.
Le sue parole mi fanno tornare alla memoria una cosa che mi disse un amico alcuni anni fa (forse con una punta di invidia): “Rita, il tuo problema è che sai fare troppe cose!”. E all’epoca neppure avevo scritto libri…
Ora, l’idea che il saper fare tante cose in modo accettabile significhi non saperne fare bene nessuna, ogni tanto fa capolino – ma la congedo con una pacca sulla spalla. L’importante, mi sembra, è capire cosa soprattutto si desidera, e forse io non desidero soprattutto emergere. Io, soprattutto, desidero conoscere e integrarmi.
Leggendo la sua biografia, una delle frasi che mi ha colpito e che sembra emblematica dell’idea che mi sono fatta di lei è questa: “Allora misi in valigia un computer portatile… e presi ad annotare pensieri, e inseguire progetti di scrittura ancora vaghi”. Più precisamente è la parola valigia che mi ha colpita, perché ho immaginato una persona che non la svuota mai, sempre pronta com’è a partire, andare, scoprire per poi tornare con nuove esperienze.
Oh, quanto desidero partire, al momento… alla volta di non so neppure quale luogo. Se riuscirò ad attuare il progetto, lei sarà la prima, personalmente, a saperlo!
Un’altra cosa che mi ha colpita di lei è questa predisposizione verso gli altri, lontana da quelle piccole invidie e gelosie che spesso riscontro in personaggi pubblici, incapaci e restii a condividere con gli altri le proprie esperienze.
La ringrazio, ma non so se sono del tutto immune dall’invidia – un sentimento umano, dopotutto. Una delle cose più interessanti che ho letto sull’invidia viene da un testo per molti versi “semplice”, The Artist’s Way di Julia Cameron, La via dell’artista – l’ho letto tempo fa nella lingua originale e non so come sia la traduzione italiana pubblicata da Longanesi.
L’autrice, in questo libro rivolto alle persone che avvertono la propria creatività come “bloccata”, afferma che l’invidia che proviamo è un potente indicatore di quel che vorremmo fare, e che per varie ragioni non riusciamo a concedere a noi stessi. Per un astronauta, è abbastanza improbabile provare invidia per un poeta, o no? A meno che l’astronauta, segretamente, non scriva versi e non coltivi l’aspirazione a essere riconosciuto più per quelli che per le imprese spaziali…
In sostanza, se la punta dell’invidia ci ferisce nel momento in cui osserviamo chicchessia, dovremmo forse chiederci se non sia giunta l’ora di concedere a noi stessi di intraprendere l’attività nella quale quel chicchessia eccelle.
Tutto qui. In fondo la vita, nella sua complessità, è assai semplice, non trova?
Tiziana Franchi
foto © Tony Zecchinelli